La vocazione vincenziana è una chiamata a entrare nel cuore del Vangelo di Gesù, assimilando il suo modo di sentire e di vivere l'esistenza. Nulla esprime compiutamente il Vangelo quanto la carità. Ora la carità è una parola che risuona ambigua nel nostro tempo, perché è interpretata quasi unicamente in chiave sociologica.
Quando si parla di carità normalmente si finisce per intendere "elemosina". Ma la carità nel linguaggio cristiano esprime prima di tutto l'amore che costituisce l'intimità propria di Dio, che è l'Amore (Gv 4, 8), e che brilla nella storia umana di Gesù di Nazareth. A quest'amore i discepoli d'ogni tempo sono chiamati a conformarsi.
Anche San Vincenzo Depaul (italianizzato in De Paoli), ad un certo punto della sua esperienza umana, si è sentito chiamato da Dio a far rifiorire nel XVII secolo quest'amore nella Chiesa. Ed a loro volta, i vincenziani si sentono chiamati a tradurre nella loro vita quest'amore di Dio, che San Vincenzo dice essere "inventivo all'infinito" (XI, ).
Presso chi? Presso tutti gli uomini, ma soprattutto presso i più poveri. Povero non è solo chi non ha il sufficiente per sopravvivere. Povero è anche chi non ha la capacità di ingegnarsi nella vita per viverla dignitosamente. Povero è chi si sente disperato, perché la vita gli appare un peso insopportabile. Povero è chi è debole e vive emarginato dai processi di identificazione sociale.