“Come se vedessero l’invisibile” (EG 150)

“Come se vedessero l’invisibile” (EG 150)

La vita in Cristo è invisibile agli occhi carnali, ma ben esperimentabile nello sguardo della fede. E’ una vita. Cioè un movimento dialettico dove l’interiorità umana “si sente” attraversata dalla Carità ineguagliabile di Cristo che si dà nella forma dell’affetto e della stima: “Tu sei prezioso ai miei occhi, sei degno di stima e io ti amo!” (Is 43,4). E prende carne in eventi e circostanze, le più comuni, diventando esse il luogo del dialogo con Lui, ove si impara a consegnarsi e a fidarsi. Nemmeno il disagio e il dolore sono esclusi, ma vi appartengono come ingredienti delle affezioni più profonde.

Lasciarsi attrarre, sentirne il fascino è opera dello Spirito: è Lui che raccoglie tutte le fragilità e debolezze di un’anima e le trasforma in respiro di vita sempre rinnovato.

Questo è l’habitat spirituale di una persona che annuncia il Vangelo del Signore Gesù. Ed è da questo movimento vivace e ininterrotto che nasce un’attività degna di una coscienza credente.

Ci raccomanda papa Francesco: “Abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera per chiedere a Gesù che torni ad affascinarci. Abbiamo bisogno di implorare ogni giorno di chiedere la sua grazia perché apra il nostro cuore freddo e scuota la nostra vita tiepida e superficiale. … La migliore motivazione per deciderci a comunicare il Vangelo è contemplarlo con amore, è sostare sulle sue pagine e leggerlo con il cuore. Se lo accostiamo in questo modo, la sua bellezza ci stupirà, tornerà ad affascinarci. Perciò è urgente recuperare uno sguardo contemplativo, che ci permetta di riscoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova” (EG 264).

Con la festa vissuta di san Vincenzo inizia un nuovo anno pastorale. Per noi missionari un anno di annuncio del Vangelo. Aiutiamoci a non ridurlo a un insieme di iniziative, pur buone, ma impoverite dello spirito di Cristo. Ed è la fraternità il luogo dove la nostra vocazione è continuamente provocata a dirsi nella verità, anche se questa fraternità è ferita e fragile.

Forse ci fa bene ascoltare le forti parole del Padre Generale dei Cistercensi, padre Mauro Lepori, citata dal predicatore degli Esercizi: “Anche se la mia comunità è un disastro, un cantiere, una topaia, una rovina, questo non le impedisce di essere la dimora della mia vocazione, perché appunto la mia vocazione è quella di partecipare all’edificazione della casa assieme agli altri abitanti che Dio ha chiamato in essa e accettare il lavoro di conversione personale e di comunione fraterna che la casa richiede per essere edificata” (M. Lepori, Seguire Cristo, ed. Cantagalli, 2017, p. 34).

Buon lavoro a tutti.

Casa Provinciale

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